Studiare ed esercitarsi sono due verbi che istintivamente provocano in noi sensazioni poco piacevoli. Li associamo alla fatica, alla ripetitività, qualche volta al sacrificio, e siamo così disposti ad accettarli, come una medicina necessaria, ma non a considerarli preziosi amici.
Proviamo a ribaltare il punto di vista e ad arricchire di significati personali la parola esercizio: dato che di lì si deve per forza passare, perché non provare a trarne non solo il più grande beneficio, ma anche più semplici e tangibili piaceri quotidiani?
Esercitarsi è prima di tutto incontrare se stessi, è concedersi uno spazio personale e privilegiato in cui riconoscere la propria vulnerabilità. Intendo la vulnerabilità come una caratteristica essenziale per un interprete musicale, che molto poco ha a che fare con la debolezza: è per me la capacità di porsi rispetto al mondo, al suono, alla poesia, offrendo un cuore dalla parete soffice e permeabile, l’essere in grado di ricevere e sentire profondamente, per poi poter restituire con senso e generosità.

Se ci esercitiamo in modo meccanico, senza mai fermarci ad assaporare la bellezza che si infiltra dalla ferita della vulnerabilità, accumuliamo noia e tensione e spesso perdiamo di vista l'obbiettivo del nostro studio. Se ci mettiamo invece nella condizione fisica e mentale di sperimentare con curiosità, di ricevere e di ascoltarci, di ricercare il piacere della produzione del suono e della massima emozione di cui possiamo circondarlo, otterremo più facilmente i risultati sperati ed è quindi più probabile che non abbandoneremo l’opera a metà strada.
La stanza in cui si studia non dovrebbe essere un “luogo” lontano mille miglia dalla sala di concerto o dal palcoscenico, ma piuttosto lo spazio sicuro in cui tecnica e arte possono incontrarsi in tranquillità e rinsaldare il loro rapporto. Ricordiamo che i vocalizzi - l’esercizio vocale per eccellenza - possono essere uno strumento di riscaldamento, ma il loro fine ultimo è sempre quello di migliorare la comunicazione: abbiamo sempre la possibilità di farne dei piccoli capolavori di emozione in musica e di conoscenza di sé, se li affrontiamo con il giusto spirito.
Qualche suggerimento pratico:
studiare in un ambiente semplice, pulito, ordinato, armonioso. Non c’è bisogno di affittare uno studio a caro prezzo, anche la propria casa può essere il luogo perfetto, se ci curiamo di mantenere lo spazio intorno al pianoforte libero da polvere, accumuli vari, oggetti poco pertinenti. I luoghi belli producono belle idee.
Accompagnarsi ad un immaginario pubblico, cantare, per così dire, sempre in abito da sera, ovvero con l’idea di esibirsi per qualcuno. Troppo spesso mettiamo un enorme divario tra ciò che si fa in studio e il concerto, oppure tra le lezioni di canto e gli esami: il successo di una performance si costruisce passo per passo e sulla spontaneità di un’ esecuzione si lavora con assiduità. Sappiamo bene che occorre una lunga ed articolata preparazione per arrivare a ciò che definiamo ‘improvvisazione’, lo stesso principio vale per tutto ciò che di fresco e naturale vogliamo offrire al pubblico - non cadrà magicamente dal cielo nel momento dell’esecuzione, ma uscirà fluido da noi solo se l’avremo prima a lungo ricercato con consapevolezza. La postura e il movimento hanno un impatto enorme sul suono di qualsiasi musicista; per un cantante, in cui corpo e strumento coincidono, si può dire che questa regola valga doppio! Non dimentichiamo di avere cura della nostra personale e preziosa scatola sonora anche quando nessuno ci guarda o ci controlla. Solo con la ripetizione, uguale e costante nel tempo, degli atteggiamenti fisiologici e vocali corretti possiamo arrivare al controllo della voce e, di conseguenza, all'essenza della nostra arte.
Esercitarsi alla presenza, accogliendo dentro di sé l'ambiente in cui si canta, senza chiudere gli occhi. Essere presenti significa essere nel qui e ora con ogni senso, con il cuore, la mente e il corpo, rilassati, ma vigili, e pronti all’azione. Concentrarsi solo su se stessi, tagliando fuori l’ambiente che ci circonda, non favorisce la presenza e, soprattutto, non prepara al momento del concerto, in cui improvvisamente l’ambiente circostante agirà sul nostro equilibrio con una forza dirompente. Abituarsi a trovare equilibrio accogliendo l’ambiente che ci circonda, i suoni, le immagini, gli spazi, è un allenamento importantissimo: smetteremo di considerare ciò che ci circonda una possibile minaccia. in quanto distrazione e, alla fine, potremo così includere davvero il pubblico nella nostra esecuzione, rendendola più vitale e interessante.
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