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Immagine del redattoreAnna

L'ora della ri-creazione

Abbiamo sempre parlato della creatività come dote essenziale per un*cantante, addirittura come prerequisito per chiunque voglia affrontare questo mestiere. Come è evidente, il cantante non è l'autore del testo e della musica che canta, ma ha l'incredibile possibilità di dare nuova vita e sostanza alla combinazione dei due elementi, attraverso una ri-creazione che abbia caratteristiche di immediatezza, istantaneità e freschezza!

Per trasmettere all'ascoltatore una visione, un messaggio, un immaginario vibrante ed emozionante, occorre che il cantante sia in grado di 'tradurre' in immagini vivide e presenti ciò che la poesia e la musica gli hanno suggerito non solo in fase di studio, ma anche nel momento stesso dell'esecuzione.


Così scrive Richard Miller, illuminato maestro di canto e divulgatore:


Una delle risorse più importanti per un cantante è la capacità di raffigurarsi interiormente e vedere con chiarezza la situazione drammatica ed emotiva delineata da un'aria o da un Lied. Questa rappresentazione mentale dev'essere più netta della realtà stessa, proprio perché trascende la realtà. Agendo da intermediario tra gli artisti creativi (poeta e compositore) e l'ascoltatore, il cantante diventa il mezzo grazie al quale l'esperienza artistica viene veicolata.

Un senso vago e generico della situazione poetica non basta. La visione interiore creativa deve emanare un'intensità tridimensionale (...), deve essere vivida come un'immagine stereoscopica. La realtà viene trasformata dall'arte. (Richard Miller, L'arte di cantare, EDT 2019)



Qualche idea per mettere in pratica questo processo. Che cosa fare?


  1. Innanzitutto impadronirsi del testo poetico. Una lettura non basta, soprattutto nel caso in cui la lingua cantata non sia la nostra. Più non conosciamo la lingua in cui cantiamo più occorre memorizzare e interiorizzare, entrare nella specifica sintassi e nella struttura del periodo, lavorando con la traduzione il testo a fronte. La traduzione più efficace è quella che possiamo fare autonomamente, con l'aiuto del dizionario, in modo letterale: la memorizzeremo sicuramente con più facilità, soprattutto se la trascriviamo a mano, perché il gesto della scrittura contribuisce a fissare il ricordo. Possiamo poi individuare ed evidenziare nello spartito delle parole-chiave, importanti per comprendere e ricordare il senso di una frase o dell'intero testo, e studiarle a memoria, facendo proprio sia il significato sia il significante. Proviamo anche, senza paura, a leggere il testo per comprenderne il ritmo e il suono indipendentemente dal modo in cui è stato musicato e, ovviamente, per trovare l'esattezza della pronuncia. A questo proposito, studiamo e utilizziamo l'IPA, l'alfabeto fonetico internazionale, per poter essere autonomi nella lettura di testi in lingua straniera! Si tratta di uno strumento molto utile e, secondo me, molto sottovalutato in Italia, nell'ambito della didattica del canto.

  2. Risolvere preliminarmente dubbi e incertezze nella tecnica vocale. La paura o la tensione dell' interprete in vista di una difficoltà si avverte quasi sempre in modo netto, perché ha l'effetto rovinoso di cancellare repentinamente la comunicazione e il legame instaurati con l'ascoltatore. La tecnica vocale è per definizione un mezzo, ovvero ciò che ci permette di diventare né più né meno che uno strumento educato ed efficiente, al completo servizio della nostra immaginazione e volontà espressiva. Staccare di punto in bianco la spina del motore creativo per concentrarsi sull'affrontare un passaggio tecnico ha, per l'ascoltatore, l'effetto di un brutto risveglio o di una brutta caduta.

  3. Riuscire a mantenere, durante l'esecuzione, un secondo livello di coscienza che abbia funzione di 'controllo' sul quello del flusso creativo, una sorta di distacco dell'osservatore. Non è infatti perdendoci emotivamente nel dramma o nelle emozioni che riusciamo a ri-portarle all'ascoltatore. Saper ri-creare è un processo complesso che passa obbligatoriamente da un lungo studio e da un approfondimento costante. Anche ammettendo che posso essere un talento innato, non può sicuramente essere visto come un fatto puramente istintivo, slegato dall'acquisizione di una complessa strumentazione tecnica da usarsi in maniera ragionata e consapevole.

E che cosa non fare?


  1. Chiudere gli occhi mentre si canta. Gli occhi sono un importantissimo canale espressivo nel momento del canto: è da lì che l'ascoltatore (se non chiude a sua volta gli occhi!!) può quasi vedere riflesso il nostro processo ri-creativo, il film che proiettiamo mentre viviamo la breve o lunga storia che stiamo raccontando. Gli occhi danno direzione al canto e traiettoria alle emozioni che lo sostengono: chiuderli troppo a lungo, o troppo frequentemente, ha l'effetto di uno o più temporanei black-out dei legami comunicativi instaurati con il pubblico.

  2. Cantare con una vaga idea (o con nessuna idea) di ciò che si sta 'dicendo'. Chi pensa che la musica parli e racconti già abbastanza non è di per sé in torto, perché senz'altro abbiamo a che fare con uno strumento artistico potentissimo, basti pensare alla forza espressiva universale della musica strumentale. Tuttavia, il canto ha il suo senso di esistere artistico nella combinazione con la parola e nel legame indissolubile che vi stabilisce nell'opera di un compositore: cantare senza dire o dicendo poco è, semplicemente, uno spreco di tempo e di energie, per l'esecutore e per l'ascoltatore. Un cantante che viva nel vuoto letterario è tanto limitato quanto quello che ignori gli stili musicali (Richard Miller)

  3. Risparmiarsi in termini di immaginazione, attenzione, curiosità, empatia nel momento dello studio: il lavoro in aula con il maestro e/o lo studio con il pianista sono il momento privilegiato in cui osare e sperimentare, esercitare la creatività ed esporsi al meglio delle proprie risorse, perché è proprio in uno spazio 'protetto' che si può lavorare efficacemente e senza rischi, per eliminare dal canto le proprie nevrosi, paure, mancanze. Ci si allena, con costanza ed energia, a stupirsi ogni volta per primi della storia che raccontiamo e del modo in cui lo facciamo, per poi trasmettere questo terapeutico senso di meraviglia improvvisa al pubblico che ascolta. Questo tipo di comunicazione non accade magicamente nel momento dell'esecuzione, ma è sempre frutto di un processo elaborato e di viaggi continui, minuziosi ed entusiasti tra la pagina dello spartito e il palcoscenico.







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