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La musica di Josephine

Ciò che ci permette di esprimerci e mostrare il meglio di noi, ci rende felici. O, meglio, ci fa trascorrere nel modo più soddisfacente possibile gli anni che passiamo sul pianeta Terra, nel corpo e nella vita che qualcuno ci ha dato. Il diritto di cercare, trovare ed esprimere il proprio talento artistico o professionale, nel senso più vasto possibile del termine, non dovrebbe appartenere a tutte le persone indipendentemente dal sesso e dalla posizione sociale?

Ho iniziato a leggere di una musicista del XIX secolo, Josephine Lang, e mi sono persa nel mare grande della sua pur non lunghissima vita. Ogni passo, ogni dettaglio della sua storia apre pensieri, questioni, si collega a quanto so, o non so ancora, di altre donne di grande valore, mi interroga, mi spinge a cercare e a congiungere i puntini di una qualche figura ancora per me misteriosa.

Nella vita di Josephine, un mondo di relazioni intessute nella ristretta area di una regione tedesca, tra Würzburg e Tübingen, il femminile e il maschile appaiono più opposti e respingenti che mai.

Donne mogli, madri, Hausfrauen dedite alla casa, ai figli, agli ospiti, ai mariti, riescono a pensare a se stesse e alla propria realizzazione per un tempo limitato, come fosse un regalo piovuto dal cielo e non un diritto discendente da Eva in persona.

Uomini capofamiglia, autorevoli anche se solo ventenni, concentrati sulla propria carriera, incapaci di rinunciare al proprio ruolo e di riconoscere e accogliere la felicità di una figlia o di una moglie tra le priorità della propria vita, sempre preoccupati di perdere qualcosa e mai di scoprire nuovo inaspettato arricchimento.


Josephine, di salute cagionevole, bambina- prodigio, orfana di madre a 12 anni, nasce e cresce in una famiglia di musicisti professionisti, comprese mamma e nonna materna, entrambe cantanti di successo. Un ambiente estremamente favorevole per essere presa ‘sul serio’ riguardo le sue inclinazioni musicali. Felix Mendelssohn la ascolta suonare e cantare Lieder da lei composti, ancora ragazzina, e ne comprende l’enorme potenziale artistico ed espressivo. Le dà lezioni, la introduce in ambienti musicali più ampi e ricettivi, prova, senza successo, a convincere il padre a mandarla a Berlino per studiare musica con i migliori maestri.

Josephine ha successo in quello che fa e il suo grande talento supplisce alla discontinuità della sua formazione musicale; non solo lavora come cantante professionista, stipendiata dalla Hofkirche di Würzburg, ma compone Lieder e, cosa importante, la sua musica viene pubblicata. Insomma, professionalmente si trova a vent'anni già in un posto privilegiato, potremmo dire un gradino più su di Clara Schumann o Fanny Mendelssohn, sue contemporanee amiche e colleghe musicalmente pari dotate (vero è che Clara e Fanny sono ancora oggi più conosciute e ricordate, probabilmente grazie al riflesso dei celebri musicisti uomini a cui è legato il loro cognome). Nonostante tutto questo, sarà l’uomo che sposerà, Reinhold Köstlin avvocato-poeta, a decidere per lei il trasferimento a Tübingen e, soprattutto, l’urgenza di trascurare la musica per imparare il ben più importante mestiere di casalinga.


Felix Mendelssohn a Reinhold Köstlin: ...per l'amor del cielo, esortala a continuare a comporre. È davvero un tuo dovere verso tutti noi bisognosi e desiderosi di buona nuova musica. E ancora, in una lettera con cui accettava l'incarico di padrino per Felix, il primo figlio di Josephine e Reinhold: Dimmi se ha composto nuovi Lieder o altro; gradirei davvero riceverne uno con la posta. Ascoltare e suonare i suoi Lieder è sempre un'enorme gioia per me.

Così risponde Reinhold a Felix, con malcelato disinteresse per la carriera di Josephine: Resterete deluso dal fatto che mia moglie ha composto davvero pochissimo negli ultimi dieci mesi. Si spera che tutto ciò che avrebbe potuto produrre sia stato 'passato' al piccolo Felix.

Josephine attraversa la seconda parte della sua esistenza mettendo al mondo sei figli, nuotando nel dolore della perdita di tre di loro e del marito, annaspando vedova tra le difficoltà economiche e aggrappandosi di nuovo, come ad una zattera, a quelle lezioni di pianoforte che sostentavano lei bambina e il padre molti anni prima. Poesia e musica rimangono prepotentemente parte di lei, anche se scacciate, anche quando non si cristallizzano sulla pagina di spartito a stampa.



Mi immagino queste persone, la loro situazione e non riesco a isolare vittime e carnefici, colpevoli e innocenti. Penso a donne che pur nello stesso periodo storico hanno affermato con forza la loro indipendenza e il loro diritto al lavoro e alla felicità, ma anche all’esiguità di ciò che posso conoscere di un secolo, di una nazione, di una città o di un mestiere.

Penso che il più delle volte non c’è dolo nei comportamenti dei singoli, all’interno di un sistema sociale fondato, da secoli, su pregiudizi e differenze incolmabili.

Mi sorgono dubbi e domande a manciate: c’è un’intelligenza o un potere speciale in chi sa sollevarsi da convenzioni opprimenti? C’è colpa in chi si adatta, semplicemente smettendo di pensare che la propria felicità possa essere l'obiettivo della propria esistenza? Ottusità e scarse vedute possono coesistere con l'amore? È possibile creare nuovi archetipi, in cui maschile e femminile s'abbraccino uniti e diversi, o è necessario un nuovo mondo perché ciò succeda? Se rinunci a un pezzo importante di te stessa è perché non ti fa felice o perché non lo ritieni abbastanza importante? Abbiamo veramente il controllo su ogni nostra scelta di vita?


Probabilmente non sono domande importanti, forse neanche troppo intelligenti. Leggo e suono qualche Lied di Josephine Lang e non cerco risposte, giusto qualche piccola illuminazione che mi faccia continuare a pensare.


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